Le evidenze ottenute nell'animale da esperimento inerenti l'azione dell'MDMA
dimostrano quanto l'esposizione all'ecstasy sia capace di indurre alterazioni
nella funzione del sistema serotoninergico, e queste a carattere persistente,
cioè non immediatamente reversibili alla sospensione della somministrazione del farmaco.
E' stato dimostrato che l'esposizione cronica all'ecstasy è capace di
produrre alterazioni presinaptiche sui terminali degli assoni serotoninergici,
con una azione che coinvolge la sintesi di ATP e la pompa Na-K a livello
sinaptico. La MDMA provocherebbe una inibizione del transporter della
serotonina, con un blocco del reuptake della monamina cerebrale e il possibile
rischio di una "deplezione", o esaurimento, dei depositi della stessa
(Ali et al., 1993; Colado et al., 1993).
Si verrebbe a realizzare una condizione definita di "porte sempre
aperte" per la serotonina, e una incapacità a immagazzinarla nelle
vescicole presinaptiche (Rudnick and Wall, 1992; De Souza et al., 1990).
Una consistente serie di studi ha mostrato il deficit di serotonina e dei
suoi metabolici nell'animale da esperimento (Slikker et a., 1988; Fischer et
al., 1995). Secondo Shankaran e Gudelsky la MDMA produce una persistente
deplezione di serotonina nel cervello del ratto (1999), in particolare nei
nuclei della base e nelle striato (Shankaran et al., 1999). Ridotti livelli di
serotonina e di acido 5-idrossi-indolacetico sono stati rilevati da altri nella
corteccia frontale, nell'ippocampo e nello striato del topo esposto all'ecstasy (Yeh, 1999).
Una vera e propria degenerazione degli elementi distali dell'assone è stata
ipotizzata, in relazione all'aver documentato una riduzione di vari markers
dell'assone serotoninergico, comprendenti, la serotonina, l' acido
5-idrossi-indolacetico, l'enzima triptofano idrossilasi, il transporter per la
serotonina (Commins et al., 1987; Insel et al., 1989; Molliver et al., 1990;
O'Hearn et a., 1988; Ricaurte et al., 1988; Schmidt, 1987; McCann et al., 1998).
Il termine "denervazione" è stato suggerito per definire il
consistente danno prodotto dall'ecstasy sui neuroni serotoninergici (Ricaurte et
al., 1992; Robinson et al., 1993). Tale danno non sembra essere rapidamente
reversibile alla sospensione della esposizione alla MDMA: nei primati le
alterazioni del sistema serotoninergico sono di lunga durata (Insel el al.,
1989; Ricaurte et al., 1988), e appaiono permanenti in alcune regioni cerebrali
(Fischer et al., 1995; Ricaurte et al., 2000). A un anno di distanza dalla
sospensione dell'ecstasy le alterazioni del sistema della serotonina investigate
con la PET nei primati appaiono ancora non completamente reversibili (De Souza et al., 1990).
Anche il sistema dopaminergico viene messo in gioco dall'azione
dell'ecstasy, se si considerano i dati rilevati nell'animale da esperimento. Le
ripetute esposizioni all'MDMA producono una consistente disfunzione del sistema
della dopamina a livello sperimentale (Crespi et al., 1997; Mann et al., 1997;
Koch and Galloway, 1997). Cambiamenti persistenti a lungo termine nella
trasmissione dopaminergica sono stati evidenziati nel nucleus accumbens del
ratto dopo la somministrazione di MDMA (Obradovic et al., 1998).
La concentrazione extracellulare di dopamina è stata ripetutamente trovata
elevata nel nucleo accumbens e in altre aree del cervello in animali trattati
con ecstasy (Kalivas et al., 1998; Fischer et al., 2000). Aumentati livelli di
dopamina extracellulare nell'ippocampo, ma non nello striato, negli animali
esposti all'ecstasy sono statidimostrati da altri Autori (Shankaran e Gudelsky,
1998, 1999). Secondo alcuni MDMA sembra essere capace di incrementare il release
di dopamina attraverso un meccanismo vescicolare (Sabol and Seiden, 1998).
L'aumentata concentrazione di dopamina extracellulare sarebbe il frutto, secondo
altri, di una alterazione del transporter della dopamina piuttosto che di un
aumentato release della stessa (Metzger et al., 1998; Colado et al., 1999; Iravani et al., 2000).
L'ecstasy si è dimostrata capace di contrastare la preference per l'alcool
nell'animale da esperimento, e tale effetto sarebbe vanificato dal
pretrattamento con naltrexone (Rezvani et al., 1992). Assieme a questa
osservazione sull'azione dell'antagonista dei recettori oppioidi sugli effetti
dell'MDMA, anche un incremento di dinorfina dopo la somministrazione di ecstasy
è stata riportato nel topo (Johnson et al., 1993). MDMA sembra essere capace di
indurre una place-preference condizionata, verosimilmente proprio in relazione
alla sua azione dopaminergica (Bilsky et al., 1998), lasciando intuire che con
l'ecstasy si possa instaurare un rapporto additivo.
In relazione a questa distinzione tra azione serotoninergica e azione
dopaminergica dell'ecstasy è stato verificato che il pretrattamento con farmaci
bloccanti il reuptake della serotonina è capace di antagonizzare gli effetti
soggettivi dell'MDMA, ma non quelli gratificanti che sottenderebbero una azione
sulla dopamina (McCann and Ricaurte, 1993).
Per quanto concerne gli effetti dell'ecstasy nell'uomo diversi studi
hanno investigato le aspettative dei consumatori rispetto all'MDMA: Nadia
Solowij ha raccolto da oltre 100 ecstasy users quali fossero gli effetti
desiderati del farmaco (Solowij et al., 1992). Gli stessi riferivano un
miglioramento del tono dell'umore, una percezione di intimità, l'apertura ai
rapporti interpersonali, effetti energizzanti ed attivanti; la mutevolezza
nell'ambito interiore con il riflettersi delle luci psichedeliche nelle
percezioni interiori, l'incremento della autopercezione. Secondo altri, ecstasy
sarebbe capace di indurre alterati stati di coscienza, cambiamenti nell'ambito
della percezione sensoriale, implicazioni emotive, una lieve componente
allucinatoria, un atteggiamento disforico e un certo impairment della memoria
(Greer e Tolbert, 1986; Krystal et al., 1992; Nichols, 1986).
I disturbi del tono dell'umore, una condizione di irritabilità e di
difficoltà psicologiche e relazionali emergono già dopo alcuni mesi di
esposizione all'ecstasy: un week-end a tono elevato induce una "low
mid-week", cioè un basso tono nei giorni feriali in cui emergono gli
aspetti problematici e le difficoltà dell'umore (Curran and Travill, 1997;
Parrot and Lasky, 1998).
Tali disturbi indotti dall'MDMA nell'uomo, e in parte anche gli effetti
attesi, suggeriscono ancora una volta il coinvolgimento della serotonina, come
già rilevato nell'animale da esperimento.
In ambito neuroendocrino i primi rilievi sulla funzione serotoninergica
nell'uomo comprendono una mancata risposta in PRL al challenge con triptofano
(Price, 1989), un deficit nel liquor di 5-idrossi-indolacetico (McCann et al.,
1994) e aumenti di PRL e ACTH in relazione dose-dipendente con l'MDMA (Grob et al., 1996).
Anche il sistema dopaminergico nell'uomo sembra essere alterato a causa
dell'esposizione cronica all'ecstasy: casi di Parkinsonismo sono stati segnalati
da diverse osservazioni cliniche (Baggott et al., 1999; Sewell and Cozzi, 1999;
Borg, 1999; Mintzer et al., 1999). In un consumatore cronico di ecstasy il
rilievo anatomo-patologico non ha evidenziato livelli di dopamina al di fuori
della norma, indicando, sebbene si tratti di un caso isolato, che le alterazioni
del sistema dopaminergico indotte da MDMA possano essere più funzionali che
organiche (Kish et al., 2000).
Il pretrattamento di volontari sani con aloperidolo (un antagonista
dopaminergico) ha comportato una parziale attenuazione degli effetti positivi ed
euforizzanti dell'ecstasy, senza interferire sugli effetti cardiovascolari,
suggerendo una componente dell'azione di MDMA connessa con il coinvolgimento del
sistema dopaminergico (Liechti e Vollenweider, 2000). Deve essere inoltre
sottolineato il fatto che la ketanserina, antagonista serotoninergico, e il
citalopram (farmaco inibitore del reuptake della serotonina) si sono mostrati
capaci di interferire sugli effetti soggettivi dell'ecstasy, molto più
efficacemente dell'aloperidolo, ribadendo di nuovo il ruolo della serotonina
nell'azione della MDMA (Liechti et al., 2001).
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