Il temperamento "novelty seeking" a sua volta appare associato a
un assetto delle monoamine cerebrali che si caratterizza specificamente: i
livelli di "novelty seeking" misurati al Thredimensional Personality
Questionnaire di Cloninger (Cloninger, 1987) correlano direttamente con le
risposte dei test dopaminergici e inversamente con quelli serotoninergici (Gerra
et al., in press). Anche valutazioni endocrine di base supportano l'ipotesi di
un assetto psicobiologico specifico di questo tratto temperamentale (Gerra et
al., 1999). Altri Autori hanno investigato dell'atteggiamento "novelty
seeking" anche i possibili correlati genetici, evidenziando alterazioni dei
geni che codificano per i recettori dopaminergici (Cloninger 1987-96; Ebstein et
al., 1996; Benjamin et al., 1996; Bardo 1996; Gelernter et al., 1997; Kotler et
al., 1997) e serotoninergici.
Contrastanti i dati sulle difficoltà di coping con lo stress, la
condizione di disistima e di evitamento sociale, i disturbi d'ansia: di volta in
volta sono state evidenziate una iperattività dell'asse
ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) (Kirschbaum et al., 1995) o un deficit della
risposta surrenalica (Gerra et al., 1998, Gerra et all, in press), insieme con
alterazioni del sistema adrenergico (Gerra et al., 1991). Lo stesso sistema
gabaergico appare coinvolto nei disturbi d'ansia espressi con comportamenti
ossessivi ed evitanti: in un nostro studio su soggetti eroinomani astinenti da
diverse settimane emerge proprio un deficit gabaergico, che non è presente negli
eroinomani non affetti da disturbi d'ansia (Gerra et al., 1998).
Diviene estremamente suggestivo a questo punto, considerate le tante
condizioni psicologiche e comportamentali che si assiepano nella storia dei
pazienti tossicodipendenti, e i loro possibili correlati biologici, il fatto di
immaginare il comportamento addittivo insieme come la risposta ad una
alterazione primaria del sistema della gratificazione e come un possibile
tentativo di compensazione inconsapevole rispetto ad alterazioni neuroendocrine
preesistenti alla droga (Khantzian 1985; Khantzian 1997; Rounsaville et al.,
1991).
Senza nulla togliere alle consuete interpretazioni che vedono il disturbo
addittivo come un condizionamento stabile connesso con l'entrata in gioco del
sistema della gratificazione, in relazione all'azione gratificante delle droghe,
si suggerisce che in modo più variegato e individuale il "link" tra
individuo e sostanza possa essere sostenuto anche da tentativi inconsci e
maldestri di modulare il proprio assetto neurormonale, inerente una o più delle
condizioni psichiche predittive precedentemente considerate (Levin et all.,
1998).
Una sorta di automedicazione che fa del farmaco da abuso una trappola
ancora più potente e ambigua, capace sì da danneggiare il consumatore dopo
qualche tempo, ma inizialmente di migliorarne il quadro clinico e
comportamentale, l'assetto sociale e controllo degli impulsi (Khantzian 1985;
Khantzian 1997): dunque un doppio legame con il farmaco da abuso, l'uno
sostenuto dal potere gratificante della droga attraverso le risposte del nucleus
accumbens, l'altro connesso con la vulnerabilità in modo più estensivo, che
comprende il tentativo di "curare" disturbi che appaiono all'individuo
altrimenti inaffrontabili.
Proprio in relazione a questo, la diffusione di ecstasy e cocaina tra i
giovani, così com'è incrementata negli ultimi anni, potrebbe corrispondere a
questo "appuntamento" tra sostanze psicoattive illegali e alterazioni
biologiche correlate con la personalità e il temperamento, con i disturbi
psichiatrici associati più che con il disturbo addittivo in sè.
I derivati amfetaminici e la cocaina agirebbero precipuamente proprio sui
trasmettitori e sugli assi neuroendocrini coinvolti nelle condizioni predittive
dell'impiego di sostanze: la serotonina (Sexton et al., 1999) la dopamina
(Volkow et al., 1999), l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene, modulati dal farmaco da
abuso, assumerebbero un ruolo nel riassetto e nella correzione della condizione
preesistente, a volte un ruolo vicario vero e proprio rispetto a un deficit
conclamato. Appare chiaro quanto questo possa indurre una maggiore stabilità del
disturbo addittivo e una attribuzione di merito alle droghe utilizzate, capaci
di far stare meglio anche se per tempi ridotti ed effimeri, in modo concreto,
immediato e "percepibile".
Dunque dovrà essere interpretato con cautela il corpo dei dati, presenti
in letteratura, che attribuiscono alle sostanze da abuso, in particolare agli
stimolanti come la cocaina e l'ecstasy, alterazioni di lunga durata nelle
funzioni cerebrali: i nostri risultati (Gerra et al., 2000) sembrano confermare
un impairment del sistema serotoninergico suggerito anche da altri sia per la
MDMA (McCann et all., 1998) che per la cocaina (unpublished data, Foltin), ma le
alterazioni neuroendocrine di lunga durata, non risolte nemmeno dopo consistenti
periodi di astensione, potrebbero anche essere attribuite a preesistenti
disequilibri della neurotrasmissione cerebrale (Gerra et al., 1996).
Proprio queste alterazioni biologiche potrebbero essere in parte causa
dello sviluppo dell'addiction, e non semplici conseguenze, avendo accompagnato
il bambino e l'adolescente per anni e sostenuto difficoltà personali e
relazionali significative: le stesse da ultimo potrebbero aver condizionato la
"preference" per un determinato tipo di sostanza piuttosto che per
un'altra, e lo sviluppo di un rapporto stabile tra droga e individuo (O'Connor
et al., 1995).
Certo molti elementi contrastano con queste interpretazioni, il poliabuso
generalizzato dei farmaci psicoattivi, i cambiamenti indotti nei pazienti
dall'offerta mutevole del mercato, la labilità dei meccanismi di
automedicazione, ma, senza assolutizzazioni e senza deduzioni meccanicistiche
inappropriate, i rapporti esposti in queste pagine possono essere considerati,
aggiungendo qualche spunto in più al quadro etiopatogetico e alle possibili
letture dell'anamnesi comportamentale e farmacologica.
I nuovi indirizzi della prevenzione devono volgersi, senza nulla togliere
alle estensive linee di un generalizzato "star bene a scuola" (motto
che ha caratterizzato gli interventi di educazione alla salute nell'ultimo
decennio), verso una accurata serie di azioni mirate: in primo luogo interventi
psico-pedagogici e con la famiglia che possano tentare di modulare per tempo i
comportamenti a rischio e le condizioni di difficoltà relazionale, dall'altro un
vero e proprio intervento supportato dalle competenze della neuropsichiatria
infantile al fine di fornire adeguati trattamenti per patologie
dell'infanzia-adolescenza connesse con lo sviluppo delle dipendenze.
Una prospettiva di rete che veda le istituzioni (scuola, sanità, enti locali)
raggiungere con opportunità innovative le famiglie più difficili e isolate, in
modo da non lasciarle sole ad affrontare problematiche e "svantaggi"
dei quali non si può, alla luce delle acquisizioni attuali, fingere di non
sapere quale rischio evolutivo comportino.
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