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Redazione a cura dello Staff DRONET.

risultati: 2501 - pag. 237 di 251
 

KETAMINA

fonte: Staff Dronet
22-05-2002 Nella sezione dedicata alle informazioni tecniche sulle principali sostanze d'abuso è stata inserita una rassegna dedicata alla KETAMINA.



Staff Dronet

CATEGORIA: Nazionali TIPO: Aggiornamento del sito invia articolo
 

I danni cerebrali della nicotina

fonte: Journal of Neuroscience
20-05-2002 Secondo alcuni ricercatori dell’Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale (INSERM) di Bordeaux la nicotina può uccidere le cellule del cervello e interrompere la formazione di nuove nell'ippocampo, una regione cerebrale importante per la memoria. La scoperta potrebbe spiegare i problemi cognitivi presentati da molti fumatori accaniti al momento di smettere. I ricercatori hanno compiuto un esperimento in cui ad alcuni ratti sono state somministrate dosi di nicotina quotidianamente per sei mesi. A livelli di nicotina nel sangue confrontabili a quelli che si misurano nei fumatori, si è visto che la creazione di nuove cellule nel giro dentato dell'ippocampo era inferiore del 50 per cento e ch il tasso di morte cellulare risultava accresciuto. I risultati sono stati descritti sulla rivista "Journal of Neuroscience". “Le implicazioni per i fumatori - spiega Pier Piazza, ricercatore dell’INSERM - sono ancora poco chiare, e la perdita di "plasticità neuronale" potrebbe causare problemi cognitivi, che per ora non sono stati oggetti di studio negli animali. Questo sarà il prossimo passo. Ma l'ippocampo è coinvolto nella memoria e anche la neurogenesi sembra svolgere un ruolo, per cui possiamo aspettarci qualche effetto. I problemi cognitivi nei fumatori che stanno cercando di smettere sono ben documentati. Ma non è mai stata data una buona spiegazione per questo. Potrebbe essere che mentre fumano l'effetto stimolante della nicotina mascheri la perdita di plasticità neuronale. Quando smettono, la deficienza rimane." Come la nicotina uccida le cellule non è ancora chiaro. Studi precedenti sull'esposizione dei feti suggeriscono che essa possa indurre l'apoptosi, la morte cellulare programmata, nelle cellule immature. Questo significa che la nicotina potrebbe uccidere cellule anche in altre parti del corpo. Il giro dentato è una delle due sole regioni del cervello in cui si formano nuove cellule.

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CATEGORIA: Internazionali TIPO: Notizia/informazione invia articolo
 

Combattere la depressione con i placebo

fonte: American Journal of Psychiatry
06-05-2002 Alcuni pazienti sofferenti di depressione che sono migliorati dopo sei settimane di cure con un placebo hanno mostrato cambiamenti nell'attività cerebrale molto simili a quelli di pazienti curati con un vero farmaco anti-depressivo. Lo studio clinico, pubblicato sull'«American Journal of Psychiatry», è il primo ad aver identificato le regioni cerebrali che cambiano come risposta a un placebo e ad averle confrontate con quelle influenzate da un vero medicinale. «Ciò che abbiamo scoperto è che i pazienti che hanno risposto al placebo e quelli che hanno risposto a un anti-depressivo hanno mostrato cambiamenti simili, ma non identici, nelle regioni corticale, limbica e paralimbica,» dice Helen Mayberg, del Rotman Research Institute del Baycrest Centre for Geriatric Care. In uno studio precedente, Mayberg aveva identificato un'interazione fra le regioni corticali e limbica che deve avvenire affinché ci sia un miglioramento della depressione. Come un termostato, il metabolismo delle regioni emozionali, limbica e paralimbica, deve essere ridotto, mentre deve aumentare quello delle regioni responsabili del pensiero razionale. In questo ultimo studio, Mayberg ha scoperto che i cambiamenti cerebrali dei pazienti curati con un placebo e di quelli curati con un vero medicinale erano molto simili, ma questi ultimi hanno mostrato cambiamenti anche in altre regioni del cervello. Nel corso della ricerca, 17 pazienti sono stati divisi in due gruppi, uno curato con il Prozac e l'altro con un semplice placebo. Né i pazienti né i dottori hanno scoperto chi ha ricevuto il placebo fino alla fine dello studio. Sintomi di miglioramento sono stati osservati in otto dei 15 pazienti che hanno completato lo studio. Di questi otto, è risultato che quattro avevano ricevuto il placebo e quattro l'anti-depressivo. I cambiamenti del metabolismo del cervello sono stati poi studiati mediante di immagini di tomografia ad emissione di positroni. Alla fine dello studio tutti a tutti i pazienti è stato somministrato l'anti-depressivo, per cui non è possibile sapere se gli effetti del placebo sono a lungo termine.

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CATEGORIA: Internazionali TIPO: Notizia/informazione invia articolo
 

Resistenza acquisita all'epatite C

fonte: LE SCIENZE
02-05-2002 I vaccini potrebbero essere usati per proteggerci dalle complicazioni a lungo termine. Secondo uno studio compiuto presso la John Hopkins University, gli esseri umani potrebbero un giorno diventare immuni al virus dell'epatite C. I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista "The Lancet", si aggiungono a un sempre crescente numero di prove secondo cui l'immunità ai virus può essere acquisita. Il virus dell'epatite C è particolarmente importante, perché non esiste ancora un vaccino, anche se alcuni sono in fase di sperimentazione sugli animali. «Alcuni precedenti studi svolti sugli scimpanzé hanno dimostrato che sebbene gli animali vaccinati o infettati potevano di nuovo essere infettati dal virus dell'epatite C, quelle infezioni avevano meno probabilità di perdurare, rispetto a quelle degli animali esposti al virus per la prima volta,» spiega David L.Thomas. «Ora abbiamo scoperto la stessa cosa per gli esseri umani, suggerendo che potremmo acquisire un'immunità che ci protegga dalla persistenza del virus dell'epatite C. Se questo è vero, suggerisce che i vaccini possono essere usati per proteggerci dalle complicazioni a lungo termine delle infezioni dell'epatite C, come la cirrosi epatica e il tumore al fegato.» Nel loro studio, i ricercatori hanno preso in considerazione i tossicodipendenti di Baltimora, identificando 164 persone in cui l'esame del sangue non rivelava alcun indizio di una precedente infezione dell'epatite C, e altre 98 che erano state infettate in passato ma non lo erano al momento dell'esame. I ricercatori hanno poi confrontato l'incidenza e la durata delle infezioni nei due gruppi per due anni. Si è visto così che le persone esposte in precedenza al virus avevano la metà delle probabilità di sviluppare una nuova infezione.

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CATEGORIA: Internazionali TIPO: Notizia/informazione invia articolo
 

Verso un vaccino orale per l'HIV

fonte: LE SCIENZE
17-04-2002 La società statunitense ProdiGene è riuscita a produrre un granturco geneticamente modificato contenente una proteina che si trova sulla superficie dell’HIV che colpisce le scimmie. Questo risultato rende più reale la possibilità di creare un vaccino orale contro l'HIV, come hanno riferito i National Institutes of Health (NIH) americani, che hanno finanziato la ricerca. La proteina, SIV gp120, è l'equivalente di quella che verrà usata alla fine del 2002 durante il test clinico di un vaccino contro l'HIV, che verrà condotto in Tailandia. I ricercatori inietteranno un virus modificato che contiene geni dell'HIV e, in seguito, una massiccia dose della proteina HIV gp120. I ricercatori non si aspettano che l'iniezione della proteina provochi una forte reazione immunitaria nelle mucose, come potrebbe fare un vaccino assunto per via orale. "Per l'AIDS – ha spiegato Stuart Shapiro, dei NIH - un simile vaccino è importante per due aspetti. Per prima cosa, il virus HIV di solito entra nel corpo attraverso le mucose, per cui avere in esse una buona risposta immunitaria è importante. Inoltre, un simile vaccino è più sicuro di uno iniettabile, specialmente nel terzo mondo, dove gli aghi vengono riutilizzati e spesso non sono sterilizzati correttamente." La notizia è stata accolta con grande interesse dagli scienziati, poiché la proteina è difficile da produrre. Proprio per questo i NIH chiesero alla ProdiGene di creare un granturco che esprimesse la forma animale della proteina e di verificare la risposta immunitaria nei topi. Una fonte di HIV gp120 basata sul granturco avrebbe altri vantaggi, oltre alla possibilità di produrre vaste quantità di un vaccino economico somministrabile oralmente.

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CATEGORIA: Internazionali TIPO: Notizia/informazione invia articolo
 

VACCINO ANTICOCAINA

fonte: Universtià di Yale
03-04-2002 Ha passato i test sugli esseri umani il primo farmaco che crea dei veri e propri anticorpi contro la droga. E' stato sviluppato da ricercatori dell'università americana di Yale. Un vaccino contro la cocaina, una sostanza che renda il cervello 'impermeabile' alla droga. È quanto si sta sperimentando alla Yale University, con esiti apparentemente molto positivi. Il professor Thomas Kosten, docente alla Yale School of Medicine, che coordina il progetto sostiene che, al momento, il problema fondamentale è rappresentato dal dosaggio corretto del farmaco. Per il resto il vaccino si è rivelato sicuro e privo di effetti collaterali. Alla prima fase di sperimentazione hanno partecipato 34 soggetti, tutti cocainomani in astinenza, che sono stati tenuti sotto controllo in un residence, e cui è stato somministrato il vaccino secondo un ciclo di tre iniezioni al mese. Dopo tre mesi, 24 pazienti sono stati sottoposti a un primo controllo, e 15 sono stati seguiti per un anno intero. Il vaccino funziona 'legando' la droga a degli anticorpi, che entrano poi nella circolazione sanguigna e arrivano al cervello. Ma qui la presenza degli anticorpi fa sì che la cocaina, a essi legata, non riesca a superare la barriera emato-encefalica, cioè quel filtro di sbarramento che impedisce al sangue di portare sostanze tossiche al cervello. I risultati dello studio sono stati pubblicati sul numero di gennaio della rivista Vaccine. Alla seconda fase della sperimentazione clinica partecipano 150 pazienti: lo scopo, questa volta, sarà quello di determinare il dosaggio corretto per ogni grado di dipendenza, in modo da poter arrivare a un effetto più lungo del farmaco. A questa prima fase hanno partecipato 34 soggetti, tutti cocainomani in astinenza, che sono stati tenuti sotto controllo in un residence, e cui è stato somministrato il vaccino secondo un ciclo di tre iniezioni al mese. Dopo tre mesi, 24 pazienti sono stati sottoposti a un primo controllo, e 15 sono stati seguiti per un anno intero. "In questo modo abbiamo verificato che il TA-CD, questo è il nome del vaccino, è ben tollerato, non dà significative reazioni avverse e crea anticorpi nei confronti della cocaina. Li abbiamo trovati per la prima volta dopo la seconda iniezione, hanno avuto il loro picco dopo tre mesi, e hanno cominciato a scemare, fino a scomparire, dopo un anno". È proprio l’azione di questi anticorpi che blocca la cocaina: il vaccino funziona infatti 'legando' la droga agli anticorpi, che entrano poi nella circolazione sanguigna e arrivano al cervello. Ma qui la presenza degli anticorpi fa sì che la cocaina, a essi legata, non riesca a superare la barriera emato-encefalica, cioè quel filtro di sbarramento che impedisce al sangue di portare sostanze tossiche al cervello. I risultati dello studio sono stati pubblicati sul numero di gennaio della rivista Vaccine. Alla seconda fase della sperimentazione clinica partecipano 150 pazienti: lo scopo, questa volta, sarà quello di determinare il dosaggio corretto per ogni grado di dipendenza, in modo da poter arrivare a un effetto più lungo del farmaco.

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Gli oggetti nella nostra mente

fonte: LE SCIENZE
29-03-2002 L'abilità di riconoscere gli oggetti dipende da parti del cervello diverse da quelle che ci permettono invece di immaginare come è il mondo. Questo è il risultato di un esperimento, descritto sulla rivista "Neuron", che ha studiato due attività cognitive ampiamente usate dagli psicologi sperimentali: la rotazione mentale (che permette di ruotare un oggetto complesso in una posizione differente per confrontarlo con un secondo oggetto di forma simile) e il riconoscimento degli oggetti (con cui si decide se due oggetti sono uguali oppure no). "La rotazione mentale e il riconoscimento degli oggetti - ha spiegato Isabel Gauthier, della Vanderbilt University. - sono indistinguibili dal punto di vista comportamentale. Come risultato non si sa se il cervello usa gli stessi meccanismi per svolgere i due compiti." Per capire quali parti del cervello si occupano di queste due attività, i ricercatori hanno preso 6 forme geometriche poco comuni. Tre di questi oggetti, due dei quali erano immagini speculari uno dell'altro, sono stati utilizzati per studiare la rotazione mentale, gli altri tre, leggermente diversi ma simili nell'aspetto generale, sono stati usati per il riconoscimento. L'analisi vera e propria stata svolta per mezzo di immagini di risonanza magnetica funzionale, grazie alla partecipazione di 15 volontari. Durante le varie sessioni dell'esperimento, i ricercatori hanno chiesto ai volontari di svolgere i due tipi d attività. Una volta ottenute le immagini funzionali del cervello, si è visto che quando il soggetto deve decidere sull’identità di un oggetto – per esempio se ha la stessa forma di un secondo oggetto – viene attivata il lobo temporale; mentre se deve stabilire la sua posizione viene attivato il lobo parietale.

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SUCCESSO ED INSUCCESSO NEL CERVELLO

fonte: LE SCIENZE
28-03-2002 La necessità di prendere decisioni rapidissime è un aspetto critico di molte attività, dalla guida nel traffico al compravendita di azioni mediante Internet. Ora alcuni psicologi hanno stabilito un collegamento fra un componente chiave del sistema usato dal cervello per valutare rapidamente le situazioni. Secondo i ricercatori questa attività del cervello potrebbe riflettere una reazione emozionale immediata, che influenza le decisioni. La corteccia cingolata anteriore (CCA) è una regione del cervello racchiusa nello spazio fra i due emisferi. In genere le persone in cui questa area viene danneggiata tendono a prendere decisioni sbagliate. Precedenti studi avevano rivelato che la CCA reagisce quando le persone fanno errori, ma il nuovo studio suggerisce che questa regione possa fare qualche cosa di più fondamentale: giudicare se gli effetti di un certo comportamento siano positivi o negativi, prima ancora di essere consapevoli del risultato oggettivo. Gli psicologi William Gehring e Adrian Willoughby, dell'Università del Michigan di Ann Arbor, hanno usato un normale elettroencefalogramma per controllare l'attività cerebrale di alcuni volontari, mentre questi giocavano d'azzardo in laboratorio. I volontari dovevano scegliere una di due scatole che apparivano sullo schermo di un computer. Una scatola indicava una scommessa di cinque centesimi, l'altra una da 25. Dopo un breve lasso di tempo, le scatole cambiavano colore diventando verdi per indicare un esito positivo e rosse nel caso contrario. Per entrambi gli esiti, le tracce elettroencefalografiche hanno mostrato un particolare impulso della corteccia, una risposta chiamata Negatività medio-frontale (MFN). Questa risultava più pronunciata nel caso di esito negativo. La differenza era evidente da 200 a 300 millisecondi dopo che veniva rivelato il risultato della scommessa, come i ricercatori hanno descritto in articolo pubblicato sulla rivista "Science". Secondo i ricercatori l'impulso non era semplicemente il riflesso della scoperta dell'errore, perché la risposta era evidente più pronunciata anche quando gli scommettitori facevano la scelta corretta, come perdere 5 centesimi quando l'alternativa era perderne 25.

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SCONFIGGERE L'AIDS IN AFRICA

fonte: LE SCIENZE
21-03-2002 Robert Gallo e Luc Montagnier chiudono la polemica su chi sia stato il primo ad isolare l’HIV. Due dei più grandi pionieri della lotta all’AIDS, Robert Gallo e Luc Montagnier, si sono stretti la mano a Roma lunedì 18 marzo, chiudendo così la polemica aperta nel 1984 su chi fosse il primo ad aver isolato l’HIV. L’occasione è arrivata da un convegno organizzato da Vittorio Colizzi, patologo dell’Università degli studi di Roma “Tor Vergata”, nel quale si è parlato di un progetto per sconfiggere la trasmissione dell’HIV per via verticale, cioè da madre a figlio. Cuore del progetto è il vaccino che stanno cercando di mettere a punto lo stesso Colizzi con i ricercatori dell’Istituto Spallanzani di Roma, quelli dell’Institute of Human Virology dell’Università del Maryland a Baltimora di Baltimora diretto da Gallo e il sostegno della Fondazione mondiale dell’UNESCO per la ricerca e la prevenzione dell’AIDS presieduta da Montagnier. Il vaccino vuole bloccare la trasmissione del virus dalla madre al bambino che avviene attraverso il latte materno. L’obiettivo di lungo periodo (dai cinque ai dieci anni) prevede la realizzazione di un vaccino che possa essere usato sui piccoli nel primo anno di vita. “La grande novità del nostro approccio – spiega Colizzi – è che si tratta del primo vaccino specificatamente progettato per combattere la variante del virus presente in Africa e che terremo conto anche del genotipo delle popolazioni locali. Per esempio studieremo le cellule staminali del cordone ombelicale dei piccoli per valutare l’impatto del virus. Purtroppo il problema dell’infezione da madre a figlio, assente in Italia, colpisce circa 600 mila bambini in Africa”. Per questo è stato costruito ad Abidjan, capitale della Costa d’Avorio, un laboratorio che è costato circa 500 mila dollari, mentre altri 250 mila dollari l’anno sono necessari per la sua gestione. I fondi provengono da vari governi africani e da finanziatori privati, mentre l’UNESCO mette a disposizione uffici e segretariato. Accanto a Colizzi, che comunque non sarà impegnato a tempo pieno in Africa, lavoreranno altre due ricercatrici italiane, Giulia Cappelli e Cristiana Cairo, e altri 20 ricercatori locali.

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GENI E ANORESSIA

fonte: American Journal of Human Genetics
19-03-2002 Analizzate 192 famiglie con almeno una coppia di componenti affetta da anoressia nervosa o altri disturbi della nutrizione Un gruppo di ricercatori di varie nazioni e istituzioni, guidato da Dorothy Grice della Scuola di Medicina dell'Università della Pennsylvania , ha identificato una regione del cromosoma 1 che potrebbe contenere geni che rendono un individuo vulnerabile allo sviluppo dell'anoressia nervosa. Lo studio rappresenta la prima analisi di tutto il genoma in cui vengono stabiliti legami con disordini nutrizionali. I ricercatori hanno in particolare ricercato geni che ricorrono nelle famiglie dove due o più individui soffrono di anoressia nervosa. I risultati forniscono una prova della base genetica della malattia più forte di quella ottenibile dagli studi associativi basati sulla popolazione, in cui gli individui affetti dal problema vengono confrontati con campioni della popolazione generale. Usando un campione di partecipanti provenienti da famiglie con almeno due componenti affetti da anoressia nervosa restrittiva, un sottotipo della malattia ben definito clinicamente, i ricercatori hanno identificato possibili luoghi di suscettibilità nel cromosoma 1p. Anche altre regioni di altri cromosomi hanno dato segnali statistici di collegamento, ma non altrettanto forti. Questo significa che i geni coinvolti nel disturbo potrebbero in realtà essere molti, ma ora resta il problema di riuscire realmente a identificarli e a caratterizzarne la funzione. L'analisi del campione iniziale di 192 famiglie con almeno una coppia di componenti affetta da anoressia nervosa o altri disturbi della nutrizione, come la bulimia nervosa, ha offerto solo modesti segnali di un collegamento genetico. Per aumentare la capacità di individuare questi legami, i ricercatori hanno ristretto la loro analisi alle famiglie con elementi che soffrivano del sottotipo della malattia, caratterizzato da una grave limitazione dell'assunzione di cibo. In questa seconda analisi il collegamento con il cromosoma 1p è apparso subito molto evidente.

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