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Redazione a cura dello Staff DRONET.

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Neonati: cervello piu' piccolo se madre poliassuntore in gravidanza

fonte: Pediatrics, Official Journal of the American Academy of Pediatrics

28-04-2008 Sulla rivista Pediatrics è stato pubblicato uno studio a cura di Michael J. Rivkin dell'ospedale pediatrico e della scuola di medicina di Harvard, in cui è dimostrato che i figli nati da madri poliassuntrici si sostanze stupefacenti hanno la circonferenza della testa più piccola rispetto ai loro coetanei. Lo studio, Volumetric MRI Study of Brain in Children With Intrauterine Exposure to Cocaine, Alcohol, Tobacco, and Marijuana, Michael J. Rivkin,, Pediatrics, Apr 2008; 121: 741 – 750, ha preso in esame un gruppo di 35 ragazzi dai 10 ai 14 anni le cui madri utilizzavano, mentre erano incinte, cocaina, alcol, tabacco o marijuana. Secondo Rivkin l’effetto sul cranio del feto non è così devastante se la madre consuma una sola sostanza, è invece devastante se la madre assume più sostanze contemporaneamente. I risultati sono stati ottenuti grazie all’utilizzo della risonanza magnetica, utilizzata per misurare il volume dei diversi tipi di tessuto cerebrale dei bambini presi come campione, oltre ovviamente alla circonferenza del cranio.
L’essere stati esposti o meno ad uno o più sostanze in gravidanza ha mostrato una correlazione con la diminuzione del volume della testa, della quantità di materia grigia e del volume totale del cervello. Da queste osservazioni è emerso che l’esposizione ad una sola sostanza non provoca una diminuzione che sia statisticamente evidente, mentre la combinazione di due o più sostanze provoca una riduzione statisticamente significativa di tutte e tre le misure del volume cerebrale. La diminuzione del volume cerebrale aumenta con l’aumentare del livello di esposizione. Secondo gli studiosi sarebbe molto importante sensibilizzare le donne in gravidanza rispetto all’assunzione di sostanze, non solo per loro ma anche per il cervello del nascituro.

Staff dronet

CATEGORIA: Internazionali TIPO: Scientifiche invia articolo
 

Quanto bevono gli italiani? ISTAT misura il fenomeno

fonte: ISTAT

22-04-2008 L’Istat, Istituto Nazionale di Statistica, con l’indagine Multiscopo Aspetti della vita quotidiana ha preso in esame un campione di più di 19 mila famiglie, comprendente 49 mila individui e i loro stili di vita. Nel documento qui sotto allegato sono presentati i dati riguardanti il consumo di alcol in Italia, nella popolazione con età superiore agli 11 anni e in particolare sono stati presi in considerazione i principali comportamenti a rischio.
Il comportamento di abuso di alcol, con le conseguenze che questo comporta in termini di costi sanitari e sociali, è oggetto di numerosi studi con lo scopo di sviluppare specifiche strategie di opposizione. Tra questi spiccano in particolare il programma europeo “Guadagnare salute 2007”, che ha tra i suoi obiettivi principali la promozione di stili di vita salutari e il Piano Nazionale Alcol e Salute PNAS 2007-2009 del Ministero della Salute, che mira a coordinare le attività di prevenzione per ridurre i danni causati dall’uso di alcol.

Staff Dronet

CATEGORIA: Nazionali TIPO: Notizia/informazione invia articolo
 

Uso e abuso di farmaci fra ricercatori: questioni di etica

fonte: Nature

22-04-2008 Barbara Sahakian e Sharon Morein-Zamir hanno condotto uno studio che ha coinvolto 1427 scienziati di 60 paesi, la maggior parte provenienti da Stati Uniti, Regno Unito e Gran Bretagna. Le due ricercatrici hanno aperto un forum sulla rivista Nature, all’interno del quale potevano, in maniera del tutto anonima, gli scienziati di tutto il mondo rispondere ad alcune domande riguardo il loro utilizzo di farmaci. L’indagine si è concentrata su tre sostanze in particolare: il metilfenidato MPH, che viene assunto normalmente in ambito accademico per ampliare le prestazioni cognitive, il Modafinil, uno stimolante mentale e i beta-bloccanti, che spesso vengono utilizzati come ansiolitici e per contrastare l’ipertensione..
L’80% degli scienziati che ha partecipato al sondaggio ha affermato di essere favorevole all’assunzione di questi medicinali e il 70% ha assicurato di farne uso normalmente. Tra tutti gli studiosi che volontariamente hanno aderito alla ricerca, uno su cinque ha ammesso di fare uso di farmaci con lo scopo di migliorare e potenziare le proprie prestazioni, in particolare la concentrazione e la memoria. Questi dati, emergono da un sondaggio volontario cui hanno partecipato in maniera del tutto casuale un grosso campione di studiosi. Solleva però un interrogativo etico molto importante. L’argomento, sempre più dibattuto, riguarda la nuova disciplina che si chiama etica e neuroetica, e riguarda proprio i limiti che dovrebbe comunque porsi una ricerca neuroscientifica sull’uomo.
Come è possibile infatti che per emergere, o per fronteggiare lo stress e potenziare le nostre capacità si sia disposti ad ingerire delle sostanze, soprattutto considerando che ad esempio, il metilfenidato MPH è simile alle anfetamine? Non è solo un problema di ricerca di scorciatoie, ma piuttosto un esempio di come sia sempre più sottile il confine tra malattia mentale e benessere, e di come ci sia una certa accettazione culturale del fatto che sia lecito aiutare il nostro corpo ad aumentare le prestazioni. Forse dovremmo riflettere anche sul fatto che siamo forse diventati incapaci di accettare i nostri limiti.
Uno degli intervistati ha affermato che “è mio diritto utilizzare tutte le risorse disponibili per fare il bene dell’umanità. Se questi farmaci possono contribuire a servire il genere umano, sono autorizzato ad assumerli”. Il fatto che gli stessi scienziati siano disponibili ad alterare il loro sistema nervoso centrale per potenziare le proprie capacità potrebbe indurre ad avere una visione riduzionistica del funzionamento del cervello, come se la mente venisse completamente equiparata all’organo e i processi cognitivi a meri fenomeni fisico-chimico che avvengono all’interno delle cellule cerebrali. Forse è il momento di fermarsi a riflettere sui bisogni sempre più imperanti dell’uomo di primeggiare anche sul proprio corpo.

Staff Dronet

CATEGORIA: Internazionali TIPO: Notizia/informazione invia articolo
 

L’alcol rimodella il DNA del sistema nervoso centrale

fonte: Journal of Neuroscience

21-04-2008 Il rimodellamento della struttura del DNA che supporta e controlla l’espressione genica nel sistema nervoso centrale può svolgere un ruolo importante sulla sintomatologia di astinenza da alcol, in particolare per l’ansia, disturbo che rende difficile per un alcolista smettere di utilizzare l’alcol. I risultati dello studio sono stati segnalati dai ricercatori dell’Università dell’Illinois di Chicago e del Jesse Brown VA Medical Center nel Journal of Neuroscience di Aprile. (University of Illinois at Chicago Office of Public Affairs MC 288 601 S. Morgan St., Chicago, IL 60607-7113, (312) 996-3456.)
Il DNA può subire cambiamenti nelle funzioni senza alcuna modificazione nella sequenza ereditaria o codificata. Queste variazione ‘epigenetiche’ sono modificazioni chimiche secondarie della cromatina- acido desossiribonucleico , DNA, avvolto su gruppi di proteine dette istoni (proteine basiche), formando un nucleosoma , e da proteine non-istoniche (proteine neutre o acide). “Questa è la prima volta che qualcuno approfondisce cambiamenti epigenetici relativi alla cromatina nel sistema nervoso centrale durante la dipendenza da alcol” dice il dr. Subhash C. Pandey, professore e direttore di neuroscience alcoholism research per l’UIC College of Medicine and the Jesse Brown VA Medical Center di Chicago, autore principale dello studio. Le modificazioni chimiche degli istoni possono cambiare l’aspetto del DNA e gli istoni vengono rimescolati insieme. Gli istoni acetiltransferasi (HATs) sono enzimi che aggiungono i gruppi dell’acetile agli istoni e sciolgono l’imballaggio, promuovendone l’espressione genica.
D’altra parte, gli istoni deacetilasi (HDACs) rimuovono i gruppi acetili dagli istoni, causando lo spostamento più strettamente con il DNA, diminuendo l’espressione genica. I ricercatori dell’UIC avevano precedentemente mostrato tramite un modello animale che i livelli del neuropeptide Y presente nell’amigdala modulano l’ansia e il comportamento dell’alcolista. Nel nuovo studio essi avevano visto l’attività del HDCA, acetylation degli istoni e l’espressione dei geni per NPY nell’amigdala e comportamenti simili all’ansia associati con l’astinenza da utilizzo cronico di alcol. Pandey e collaboratori hanno trovato che l’esposizione acuta all’alcol fa diminuire l’attività dell’HDAC; aumentano gli istoni acetylation; aumentano i livelli di NPY – e riduce l’ansia negli animali. Viceversa, comportamenti simili all’ansia durante l’astinenza in animali utilizzatori cronici di alcol è stata associata con un aumento nell’attività dell’HDAC e una diminuzione negli istoni acetylation e nei livelli di NPY. Importante, il blocco osservato nell’aumento dell’attività del HDAC usando un inibitore dell’HDAC durante l’astinenza da alcol ha innalzato i livelli di istone acetylation e i livelli di espressione di NPY nell’amigdala e previene lo sviluppo di comportamenti di comportamenti simili all’ansia.
“I nostri risultati suggeriscono che gli inibitori HDAC possono avere un potenziale come agenti terapeutici nel trattamento dell’alcolismo” ha affermato Pandey. “i ricercatori inoltre hanno trovato che i livelli di proteine conosciuti come CREB binding protein, che ha un’attività enzimatica HAT, sono aumentati nell’utilizzo di alcol acuto ma diminuiscono durante l’astinenza dall’etanolo”.
I ricercatori concludono che gli enzimi che sono coinvolti nel rimodellamento del gioco della cromatina e svolgono un importante ruolo nell’ansia che accompagna l’astinenza da alcol così come negli effetti anti-ansia di un utilizzo acuto di alcol. “abbiamo bisogno di nuove strategie per il trattamento dell’alcolismo che siano orientate verso la prevenzione dei sintomi d’astinenza” sostiene Pandey “l’ansia correlata con l’astinenza dell’abuso di alcol è infatti un fattore chiave nel mantenimento dell’astensione da alcol”

Staff Dronet

CATEGORIA: Internazionali TIPO: Scientifiche invia articolo
 

OMS: 115 milioni persone con disturbi mentali da uso alcool e droghe

fonte: Associazione Cittadinanza

21-04-2008 In occasione del meeting internazionale “Rafforzare i sistemi di salute mentale nei Paesi a basso e medio reddito” promosso dall’ Associazione Cittadinanza in collaborazione con l’Oms, si è parlato della situazione della salute mentale nel mondo. Benedetto Saraceno, direttore del dipartimento di Salute mentale dell’Organizzazione mondiale della salute (Oms), ha descritto come oltre 150 milioni di persone al mondo soffrano di depressione, 50 milioni di epilessia, 25 milioni di schizofrenia, 24 milioni di Alzheimer, mentre oltre 115 milioni hanno disturbi mentali legati all’abuso di alcol o droghe. Ogni anno quasi un milione di persone si toglie la vita per problemi legati a disabilità mentali, una stima al ribasso dal momento che mancano i dati relativi alla quasi totalità dell’Africa e a numerosi paesi tra Medio Oriente e Sud-est asiatico”.
Scopo del convegno tenutosi il 18 aprile a Rimini è quello di mettere a confronto le autorità di 15 Paesi a basso reddito e i referenti di agenzie sanitarie e Ong nazionali e internazionali. “Esiste una relazione fra povertà e salute mentale - ha affermato Saraceno -. La povertà può essere un fattore scatenante o un fattore di rischio per la depressione, il suicidio, l’abuso di alcool e sostanze illecite, il ritardo mentale. Per altre patologie contribuisce al peggioramento delle condizioni”. Nel mondo solo il 9% dei 450 milioni di persone con disturbi mentali riceve cure adeguate. Il restante 91% vive in gran parte nei paesi poveri. Qui alla salute mentale e' riservato tra l'1,54% e il 2,78% del totale del budget sanitario (contro il 6,89% dei paesi ad alto reddito), psichiatri e infermieri specializzati spesso sono solo uno ogni 100.000 abitanti e oltre l'85% dei malati con gravi patologie non riceve alcun tipo di cura. Le poche risorse che ci sono non sono poi utilizzate in maniera inefficiente. Nei paesi più poveri, in cui ci sono mancanze di servizi, reddito basso, manca anche la consapevolezza e la presa di coscienza della dimensione del problema, e quindi la consapevolezza dell’importanza di una presa di coscienza di tali problemi. Benedetto Saraceno ha quindi presentato Il programma 'MhGAP' (Mental health Global Action Programme), elaborato dall'OMS per aumentare l'attenzione dei governi verso le malattie mentali e i disturbi correlati ad alcol e droghe. L’Oms si è stabilito tre obiettivi prioritari nella realizzazione di un sistema globale di salute mentale. Il primo è promuovere la tutela dei diritti dei malati psichiatrico, poi sensibilizzare i governi, le autorita' sanitarie nazionali, le agenzie internazionali, le ong e la societa' civile, con lo scopo di creare un'organizzazione dei servizi non centrata sull'ospedale ma diffusa sul territorio.
Infine, per ultimo ma non meno importante, promuovere una politica che miri a prevenire l’uso e abuso di alcol, troppo spesso causa di disturbi mentale con terribili conseguenze a livello sociale.


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CATEGORIA: Nazionali TIPO: Notizia/informazione invia articolo
 

Alcol, tabacco e cannabis possono promuovere disturbi al fegato in pazienti con epatite C cronica

fonte: Journal of Hepatology

07-04-2008 Circa il 25% dei pazienti con epatite C cronica sviluppa severe conseguenze quali la cirrosi epatica e il carcinoma epatocellulare (il cancro del fegato). Numerosi fattori ambientali e virali contribuiscono a questo tasso variabile di progressione della malattia, ma non tutti sono stati pienamente compresi. Nel numero di aprile 2008 del Journal of Hepatology (Mallat et al., Environmental factors as disease accelerators during chronic hepatitis C. Journal of Hepatology 48(4): 657-665. April 2008) , tre esperti di epatologia hanno passato in rassegna i fattori ambientali connessi con la progressione accelerata di fibrosi del fegato in pazienti con epatite C cronica. Questi fattori sono stati studiati allo scopo di migliorare i risultati clinici, soprattutto per le difficoltà di trattamento di pazienti che tendono a rispondere male alla terapia con interferone.
In anni passati gli autori avevano sottolineato che “moltissimi studi hanno dimostrato che una combinazione tra infezione di HCV ed elevati livelli di abuso di alcol risultano correlati con un’accelerazione nel cancro al fegato” e che “dati più recenti indicano che persino un leggero consumo di alcol può peggiorare la progressione della fibrosi”. Alcuni studi hanno suggerito che il tabagismo può aumentare l'attività istologica nei pazienti cronici con epatite C, quindi promuovere la progressione di fibrosi, anche se questo è stato studiato meno estesamente rispetto alle problematiche legate all'alcol. Uno studio recente ha suggerito che un aumento di fibrosi legato al tabagismo può essere dovuto ai cambiamenti di citochine indotti da bassi livelli di ossigeno. Per concludere, affermano gli autori, l’utilizzo di cannabis sta emergendo sempre più come fattore problematico collegato alla progressione di affezione epatica in pazienti con epatite C cronica. Come precedentemente segnalato, gli studi del co-autore Christophe Hezode hanno dimostrato che fumare normalmente cannabis è un predittore indipendente sia di fibrosi che di grave steasosi nei pazienti malati di HCV. Inoltre gli studi sperimentali hanno indicato che i recettori cannabinoidi CB1 aumentano la fibrogenesi e la steatogenesi epatica con meccanismi distinti, quindi supportano fortemente i risultati epidemiologici.
“In conclusione” affermano gli autori “i pazienti dovrebbero essere informati rispetto agli effetti negativi sul loro fisico dell’uso di alcol e cannabis, e si dovrebbe offrire loro un supporto adeguato per resistere durante il periodo di astinenza.”

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CATEGORIA: Internazionali TIPO: Scientifiche invia articolo
 

Nicotina: dipendenza e malattie da fumo sarebbero legate a variante genica

fonte: Nature

03-04-2008 Una ricerca finanziata dal National Institute on Drug Abuse (NIDA), in collaborazione con il National Institutes of Health (NIH) ha dimostrato che i fumatori, a causa di una variante genica, non solo sono più vulnerabili alla dipendenza da nicotina ma hanno anche maggiori rischi di sviluppare due malattie correlate all’utilizzo di nicotina: il cancro del polmone e rischi cardiovascolari.
Lo studio pubblicato su “Nature” di aprile, (Stefansson et al., A variant associated with nicotine dependence, lung cancer and peripheral arterial disease, Nature 452, 638-642 (3 April 2008) | doi:10.1038/nature06846) evidenzia come i progressi che si stanno facendo nella ricerca genetica siano fondamentali poichè “aiutano ad identificare le varianti dei geni che aumentano il rischio di complessi disturbi biologici e comportamentali” spiega il dr. Elias Zerhouni, direttore del NIH, “cosa che aiuterà ulteriormente la ricerca per ridurre la portata e le conseguenze devastanti del tabagismo”.
“Questi risultati chiariscono per la prima volta che una singola variante genica può predisporre non soltanto alla dipendenza da nicotina ma può anche aumentare la sensibilità alle malattie correlate al fumo da nicotina” sottolinea Nora Volkow , direttore del NIDA, “inoltre indica i potenziali obiettivi per i nuovi farmaci che possono essere resi più efficaci nell’aiutare i fumatori a smettere di fumare.”
"La variante non aumenta la probabilità che una persona cominci fumare, ma per chi inizia aumenta la probabilità di diventare dipendente," precisa Kári Stefánsson, fra i ricercatori che hanno condotto lo studio.
La variante è stata identificata con una tecnica conosciuta come "genome-wide association" in cui i campioni di DNA, prelevati da più di 10.000 fumatori islandesi sono stati analizzati per la presenza di più di 300.000 marcatori genetici. Analisi successive hanno indicato che gli elementi portanti della variante connessa fortemente con la dipendenza di nicotina erano inoltre aumentati per due malattie fortemente associate al fumo: la malattia arteriosa periferica ed il cancro al polmone.

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CATEGORIA: Internazionali TIPO: Scientifiche invia articolo
 

Droga e musica: per i rapper farsi è "cool"

fonte: Addiction Research & Theory

02-04-2008 Uno studio statunitense ha analizzato 341 brani di musica rap composti e divenuti famosi tra il 1979 e il 1997. I risultati, pubblicati sulla rivista 'Addiction Research & Theory' mettono in luce come la musica rap incoraggi l’uso di sostanze stupefacenti. Non solo, dimostra che i testi dei rapper si sono fatti negli ultimi anni sempre più espliciti, rendendo l’uso di sostanze un comportamento normalmente acquisito dai giovani.
Dai testi analizzati risulta infatti che fino al 1984 solo l’11% dei brani conteneva riferimenti espliciti all’uso di droga. Ma nei brani pubblicati dopo il 1980, la percentuale saliva fino al 19% per arrivare al 69% nei brani pubblicati dopo il 1993. Insieme ai richiami espliciti all’uso di droga dei testi, si trovano anche le immagini precise di chi utilizza sostanze, descritto come “cool” e quindi decisamente attraente per i giovani ascoltatori.
Secondo Denise Herd, a capo dello studio per l’Università di Berkeley, questi dati sono piuttosto allarmanti, soprattutto perché “il rap rappresenta un modello per i giovani, in particolare nelle aree urbane. In queste zone i ragazzi sono gia' a rischio e avrebbero bisogno di messaggi positivi provenienti dai media, non di modelli spregiudicati". L’utilizzo di droghe viene rappresentato come un modello di comportamento vincente, addirittura in certe canzoni l’uso di marijuana, cocaina o crack viene esaltato. Nei pezzi composti prima degli anni 80 si potevano trovare anche test che mettevano in guardia dall’uso di sostanze stupefacenti, oggi non è più così.
La cosa più pericolosa è che anche la musica hip hop guarda con benevolenza allo stile dei rapper, e anche questo è un dato allarmante. I più giovani infatti ascoltano questa musica solitamente senza il controllo dei genitori e possono assuefarsi a favore di comportamenti di utilizzo di droga.

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CATEGORIA: Internazionali TIPO: Scientifiche invia articolo
 

Fuma marijuana per un mese per vedere che effetto fa

fonte: BBC News

31-03-2008 L'inglese Nicky Taylor, giornalista e madre di tre figli, ha fumato marijuana una volta al giorno per un mese intero, riprendendo i risultati in un documentario per la Bbc. Oltre a fumare marijuana una volta al giorno per un mese intero si è anche fatta iniettare tetraidrocannabinolo (thc), il principio attivo della marijuana, per vedere gli effetti di una dose massiccia assunta tutta insieme.
Nicky Taylor ha iniziato con lo skunk, una variante più potente della cannabis che si fuma oggi, contenente il 10-15% di THC rispetto al 3-5% della cannabis naturale. Subito ha iniziato ad avere paranoie, paure e incapacità a fare le cose più semplici. «Ero terrorizzata. Subito sono diventata paranoica, con attacchi di panico. A un certo punto avevo il terrore di alzarmi dalla sedia. È stato uno dei momenti peggiori della mia vita», ha detto la donna. Al termine dell’esperimento ha registrato un forte aumento di peso, apatia e mancanza assoluta di concentrazione. A metà dell’esperimento si è sottoposta a dei test da cui sono risultati livelli di psicosi superiori rispetto agli schizofrenici. Alla fine era terrorizzata anche nel dover affrontare i compiti più semplici.
I risultati di questo test dovrebbero far riflettere sull’opportunità o meno di riconsiderare la pericolosità di una somministrazione di cannabis. Oggi è infatti molto più potente rispetto a come era solo quindici anni fa.

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Allarme "eroina killer" a Roma

fonte: Agenzia comunale per le tossicodipendenze

31-03-2008 Ha una percentuale di principio attivo che a volte sfiora il 90%. E' la nuova "eroina killer" che circola a Roma, secondo quanto dichiara l'Agenzia comunale per le tossicodipendenze. Arriva dall’ Afghanistan, è bianca, più pura e più ricercata dai tossicodipendenti rispetto a quella scura, la cosiddetta "brown sugar". Inolte sarebbe molto più economica, cosa che alletta i suoi "consumatori" (1 grammo a soli 20 euro) e incrementa il rischio di mortalità per overdose e i problemi di salute legati all'uso di droghe.

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