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Redazione a cura dello Staff DRONET.

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Aumentano le tasse, si riducono i consumi di alcolici

fonte: Addiction

30-01-2009
Numerosi studi testimoniano la relazione tra aumento dell’imposizione fiscale sulle bevande alcoliche e riduzione delle vendite e dei consumi di alcol. La tassazione rappresenta una delle strategie in materia di sanità pubblica che maggiormente influenza la vendita al dettaglio degli alcolici; alcune indagini misurano direttamente i prezzi, altre invece considerano le aliquote di imposta, poiché le variazioni del prezzo osservate in differenti aree geografiche dipendono dalla differente tassazione applicata.
L’indagine, condotta presso il Dipartimento di epidemiologia e di ricerca per le politiche sanitarie dell’università della California e pubblicata su Addiction, è una metanalisi dei risultati derivanti dalla revisione sistematica di oltre 100 studi sugli effetti delle tasse sulle bevande alcoliche. Sono state incluse differenti tipologie di studi, la maggior parte di carattere economico, ma anche in ambito sanitario e sociale. Utilizzando le stime riportate da ciascuna indagine, opportunamente codificate, i ricercatori hanno calcolato la correlazione parziale tra il costo dell’alcol e la vendita o il consumo di bevande alcoliche. Modelli randomizzati sono stati impiegati per combinare le stime complessive di importanza e significato della relazione osservata.
I risultati della metanalisi documentano la significatività della relazione tra la tassazione o i provvedimenti sui prezzi e gli indici di vendita e consumo delle bevande alcoliche. Pertanto, le politiche sanitarie che aumentano i prezzi dell’alcol si dimostrano strumenti efficaci per ridurne i consumi.


Staff Dronet

CATEGORIA: Internazionali TIPO: Notizia/informazione invia articolo
 

Minori e uso di droghe, la situazione inglese

fonte: National Treatment Agency for Substance Misuse

29-01-2009
Il National Treatment Agency propone un breve report che analizza il fenomeno dell’uso di droghe tra i minori di 18 anni, i principali contesti d’utilizzo e i diversi tipi di intervento mirato e di supporto specialistico per l’uso di alcol e droghe.
L’abuso di sostanze nei giovani minori di 18 anni è considerevolmente diverso da quello degli adulti e, allo stesso modo, diversa è la combinazione di trattamenti e di supporto che i giovani ricevono. Infatti, gli interventi destinati ai minori sono soprattutto terapie di counseling psicosociale, che cercano di affrontare le cause profonde e i conseguenti comportamenti d’uso di alcol e cannabis. L’uso di sostanze deve essere inoltre contestualizzato all’ambiente familiare e sociale, rispetto ai quali i giovani sono particolarmente vulnerabili.
Le sostanze più utilizzate sono alcol e cannabis, spesso anche mescolate: nel 2007/2008, circa 12 mila giovani sono stati curati per la dipendenza da cannabis e circa 8600 per l’alcol. Tra il 2005/2006 il numero di minori che ha fatto ricorso ai servizi specialistici era pari a 17 mila, mentre tra il 2007/2008 ha raggiunto i 24 mila giovani. Per questo motivo si è ritenuto che l’uso di droghe fosse aumentato in questa fascia di popolazione, senza riflettere sul fatto che, in realtà, sono i servizi specialistici che stanno riuscendo a identificare e a coinvolgere sempre più giovani, che in precedenza non sarebbero stati raggiunti. Questo report è il primo a fornire un quadro preciso delle proporzioni del fenomeno d’abuso di alcol e droghe tra i minori e di quanti ricevano un trattamento o un supporto terapeutico.
Il Dipartimento Nazionale per il trattamento della tossicodipendenza è un ente speciale del sistema sanitario nazionale del Regno Unito, istituito dal governo inglese nel 1991 al fine di migliorare l’accessibilità, il rendimento e l’efficacia dei trattamenti per l’uso di droghe. La promozione e la diffusione di best practice basate sulla ricerca scientifica rappresentano uno dei compiti e degli obiettivi principali del dipartimento

Staff Dronet

CATEGORIA: TIPO: Focus Educatori invia articolo
 

Neuroscienze: scoperta la RAM del cervello umano

fonte: Southwestern Medical Center

27-01-2009
È stato per la prima volta identificato il meccanismo responsabile della memoria a breve termine, che rivela come il cervello trattenga le informazioni temporanee. Singole cellule nervose, collocate nel lobo frontale del cervello, trattengono temporaneamente il ricordo di informazioni che vengono rapidamente e continuamente aggiornate. La scoperta di un gruppo di ricercatori del Southwestern Medical Center dell’Università del Texas, pubblicata a febbraio su Nature Neuroscience, potrebbe avere importanti implicazioni per la tossicodipendenza, i deficit di attenzione e la perdita di memoria correlata allo stress.
I ricordi permanenti sono immagazzinati grazie all’attività del neurotrasmettitore eccitatorio glutammato, che attiva i canali ionici delle cellule nervose per riorganizzare e rafforzare la connessione intracellulare. Questo però è un processo lungo, può impiegare minuti ma anche ore, ed è troppo lento per gestire rapidamente le informazioni in entrata. I ricercatori hanno scoperto che le informazioni che in ogni istante entrano nel nostro cervello attivano un processo di memoria cellulare, la trasmissione del glutammato metabotropico, che rende possibile mantenere il ricordo di tali informazioni per circa un minuto.
I ricercatori hanno esaminato le cellule cerebrali impiegando dispositivi in nanoscala per misurare il processo di formazione della memoria e comprendere quali possano essere gli effetti delle droghe sulla memoria. Utilizzando topi da laboratorio con dipendenza da cocaina, è emerso infatti che l’esposizione ripetuta alla sostanza riduce l’attivazione del processo di memoria cellulare. Gli effetti delle droghe danneggerebbero quindi la capacità della memoria tampone di trattenere informazioni temporanee.


Staff Dronet

CATEGORIA: Internazionali TIPO: Notizia/informazione invia articolo
 

Cannabis: effetti sull'attività cerebrale

fonte: Institute of Psychiatry, King College

23-01-2009
La cannabis è la droga più utilizzata al mondo, anche se l’uso comporta un’ampia gamma di effetti psicologici e sintomatici. L’utilizzo di breve periodo può indurre disturbi psicotici e ansia, mentre un utilizzo regolare è associato a un deterioramento delle funzioni cognitive e ad un maggior rischio di schizofrenia.
Due studi condotti presso l’Istituto di Psichiatria del King College di Londra, hanno ulteriormente approfondito la comprensione scientifica degli effetti psichiatrici dannosi derivanti dall’uso di cannabis, indicando come i due principali componenti psicoattivi, il THC e il CBD, agiscano sul cervello e alterino le funzioni cognitive. I ricercatori hanno utilizzato tecniche di imaging a risonanza magnetica e misurazioni comportamentali per valutare l’impatto sulle funzioni cerebrali di volontari sani.
Nel primo studio pubblicato su Biological Psychiatry, i ricercatori hanno valutato l’effetto del THC e del CBD sulle funzioni cerebrali, durante lo svolgimento di un compito “go/no go” dopo che era stato loro somministrato uno dei due principi attivi o un placebo. I risultati hanno evidenziato come il THC riduca l’attivazione della corteccia prefrontale, che svolge un ruolo critico nel processo di inibizione della risposta.
Nel secondo studio pubblicato su Archives of General Psychiatry, i ricercatori hanno analizzato le basi neuro-fisiologiche degli effetti della cannabis sull’ansia, utilizzando durante l’esperimento delle immagini di volti con espressioni terribili. Questo tipo di stimolo generalmente stimola l’attività dell’amigdala provocando ansia e aumentando la conduttanza dell’epidermide, ma i risultati hanno mostrato come la somministrazione di CBD riduca invece la reattività di risposta.
In conclusione, gli studi evidenziano che i due componenti psicoattivi hanno effetti distinti sulle funzioni cerebrali, spiegando quindi i differenti effetti sui sintomi psichiatrici e cognitivi. La comprensione dell’azione dei principi della cannabis sul cervello è fondamentale per capire il ruolo di questa sostanza nell’eziologia dei disturbi psichiatrici osservati.


Staff Dronet

CATEGORIA: Internazionali TIPO: Notizia/informazione invia articolo
 

Lavoro e riabilitazione: l’inserimento lavorativo di ex tossicodipendenti

fonte: UK Drug Policy Commission

21-01-2009
Uno dei maggiori problemi riguardante i tossicodipendenti è rappresentato dal fatto che circa l’80% di questi è disoccupato, eppure il lavoro si è dimostrato un importante fattore di riabilitazione e di reinserimento nella società, che riduce la probabilità di ricadute. Una maggiore percentuale di consumatori problematici di droghe inseriti nel mondo del lavoro corrisponderebbe a una maggiore percentuale di persone che conseguono il recupero e ad una riduzione del crimine. Fatto ancora più importante, molti tossicodipendenti disoccupati vogliono lavorare e ne riconoscono l’importanza per costruire una vita “normale”.
La Commissione inglese per le politiche in materia di droga (UKDPC) ha prodotto un report che affronta questa tematica e solleva la necessità di provvedimenti per superare gli ostacoli che impediscono l’inserimento lavorativo di persone riabilitate. Il report "Working towards recovery: getting problem drug users into jobs" anche se contestualizzato nel Regno Unito, offre interessanti spunti rispetto alle possibili strategie per l’inserimento lavorativo di ex tossicodipendenti, ad esempio incentivi economici a favore dei datori di lavoro, oppure misure di tutela legale a favore del lavoratore.
L’inserimento lavorativo di ex tossicodipendenti rappresenta un traguardo critico, che implica la soluzione di una serie di bisogni primari come lo stato di salute fisica e mentale e una sistemazione adeguata. Molti datori di lavoro sono riluttanti ad assumere ex tossicodipendenti; le principali preoccupazioni espresse riguardano la necessità di persone “adatte” al lavoro e il rischio potenziale che un ex tossicodipendente può rappresentare per la propria attività e per i propri dipendenti. Circa i due terzi dei datori intervistati hanno affermato che non assumerebbero un ex tossicodipendente, anche nel caso in cui la persona fosse in possesso dei requisiti e delle competenze richieste per il lavoro. Tuttavia le opportunità di lavoro possono essere aumentate consentendo ai datori di lavoro di gestire il rischio percepito e superando lo stigma associato alla figura dell’ex tossicodipendente.

Foto: Charles C. Ebbers, Lunch atop a Skyscraper (1932)


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CATEGORIA: TIPO: Focus Educatori invia articolo
 

Stimolazione magnetica transcranica e riduzione del craving da nicotina

fonte: Addiction

19-01-2009
La stimolazione magnetica transcranica (TMS) rappresenta una metodica non invasiva per stimolare la corteccia cerebrale, spesso impiegata per il trattamento della depressione e della schizofrenia. Un nuovo studio coordinato da Abraham Zangen, Dipartimento di Neurobiologia del Weizmann Institute of Science di Israele e pubblicato su Addiction di gennaio, suggerirebbe l’utilizzo della TMS anche per la cura della dipendenza da nicotina.
L’assunzione di nicotina, come altre sostanze d’abuso, attiva il sistema dopaminergico mesolimbico che origina nell’area ventrale tegmentale (VTA) e si proietta alle aree cerebrali correlate alla gratificazione come la corteccia prefrontale, il nucleo accumbens, l’amigdala e l’ippocampo. Una riduzione dell’attività del sistema di gratificazione durante un periodo di astinenza è stato strettamente associato al craving, alle ricadute e alla ripresa dell’uso della sostanza.
I ricercatori hanno coinvolto 48 fumatori cronici, motivati a smettere, e li hanno attribuiti casualmente a due gruppi di studio sottoposti ad una stimolazione reale o fittizia della corteccia prefrontale dorsolaterale sinistra. I volontari venivano esposti ad una serie di stimoli visivi, immagini neutre o immagini che evocavano la nicotina, prima di essere sottoposti alla sessione di TMS. L’ipotesi era che l’induzione del craving prima della sessione di stimolazione avrebbe permesso la sospensione specifica dei circuiti associati al craving e che le sessioni ripetute di TMS avrebbero modificato la risposta neuronale a tali stimoli.
I risultati dell’indagine hanno mostrato una significativa riduzione dell’uso di sigarette e della dipendenza da nicotina nel gruppo sottoposto a stimolazione reale rispetto al gruppo di controllo. Inoltre, la stimolazione transcranica ha ridotto e bloccato lo sviluppo del craving per le sigarette indotto dalla presentazione ripetuta di stimoli visivi. Tuttavia tali effetti sembrano dissiparsi nel lungo periodo, anche se sei mesi dopo il trattamento è stato osservato nel gruppo sottoposto a stimolazione transcranica un trend di riduzione dell’uso di sigarette.


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CATEGORIA: Internazionali TIPO: Notizia/informazione invia articolo
 

Sydney, Report epidemiologico sulla valutazione di un centro per la somministrazione controllata di droga

fonte: National centre in HIV epidemiology and clinical research

16-01-2009
Il centro MSIC di somministrazione medicalmente controllata di droga è stato istituito a maggio del 2001 dal governo dello stato australiano del New South Wales, nel sobborgo di King Kross della metropoli di Sydney.
Recentemente il governo ha commissionato un report epidemiologico per la valutazione dell’operato e dei risultati ottenuti dal centro in sei anni di attività, dal 2001 al 2007.
Durante questo periodo il centro ha ospitato circa 10mila utilizzatori di droga per via iniettiva, in maggior parte di sesso maschile (74%), con un’età media di 33 anni e una storia di dipendenza di 14 anni. Il 60% dell’utenza ha in precedenza intrapreso un trattamento terapeutico per tossicodipendenza e il 13% era in terapia. Il 49% degli utenti ha riferito che se non fossero stati in grado di accedere al MSIC, avrebbero assunto droga in un luogo pubblico.
Il servizio è aperto 361 giorni l’anno, dieci ore al giorno, e lo staff medico oltre ai servizi base offre consulenza di tipo medico sanitaria e invia gli utenti ai servizi per il trattamento della tossicodipendenza. Durante questo periodo di attività sono stati affrontati oltre 2000 casi di overdose senza decessi, il 93% causati dall’assunzione di sostanze oppiacee.
Tuttavia, l’analisi dei dati raccolti non evidenzia cambiamenti significativi nella riduzione dell’uso di eroina riconducibili all’attività del centro. “È giustamente riconosciuto che la considerevole riduzione dell’offerta di eroina in Australia all’inizio del 2001, data che coincide con l’istituzione del centro, ha condotto ad un rapido declino dell’uso di questa sostanza. Numerose prove, inclusi i dati forniti dal MSIC, dimostrano che molti consumatori di eroina sono passati all’uso di altre sostanze disponibili sul mercato, quali cocaina e amfetamine ” si legge nelle conclusioni del rapporto scientifico. E ancora: "La riduzione del numero di intossicazioni e decessi correlati all’uso di oppiacei osservata a King Kross, non differisce significativamente da quella osservata nel resto del New South Wales".
Se da una parte è indiscutibile la funzione svolta dal centro nel raggiungere la popolazione più emarginata degli utilizzatori di droga per via iniettiva, persone senza tetto che non hanno accesso ai servizi sanitari, con storie di disoccupazione e carcere, dall’altra non è stato dimostrato come la somministrazione controllata di droga possa contribuire a ridurre il fenomeno della tossicodipendenza.


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CATEGORIA: Internazionali TIPO: Focus Educatori invia articolo
 

Progressione dell’HIV e uso di droghe

fonte: Journal of Acquired Immune Deficiency Syndromes

14-01-2009
L’uso di crack faciliterebbe la progressione dell’infezione da HIV riducendo l’aderenza e accelerandone la progressione indipendentemente dalla terapia antiretrovirale. L’HIV è piuttosto diffuso tra i consumatori di droghe, e alcune sostanze avrebbero l’effetto di accelerare la progressione dell’infezione, secondo un recente studio pubblicato sul Journal of Acquired Immune Deficiency Syndromes.
I ricercatori hanno coinvolto 222 tossicodipendenti sieropositivi, reclutati a Miami tra il 2002 e il 2005. L’indagine longitudinale durata 30 mesi, si è basata sui dati anamnestici e sulla storia medica individuale (uso di droghe, uso di farmaci antiretrovirale) e i pazienti sono stati sottoposti ogni sei mesi ad esami del sangue per monitorare la carica virale e il conteggio delle cellule CD4. Il 63% dei pazienti all’inizio dello studio stava seguendo una terapia antiretrovirale, la conta media delle cellule CD4 era di 314 cellule/mm3 e una carica virale media leggermente inferiore a 12.000 copie/ml.
I ricercatori hanno cercato di stabilire una relazione tra l’uso di droghe e la progressione dell’HIV, indicata dalla riduzione nella conta delle cellule CD4, che contengono la glicoproteina CD4, il recettore cui si lega il virus HIV, e ad una crescita della carica virale. La sostanza più comunemente abusata era crack (50%), seguita da cannabis (35%) e da cocaina in polvere (14%); il 55% dei pazienti utilizzava anche alcol.
Gli utilizzatori di crack avevano una probabilità doppia rispetto agli altri di avere un declino delle cellule CD4 al di sotto di 200 cellule/mm3, e la carica virale era significativamente più alta per tutto il periodo di osservazione indipendentemente dall’uso di farmaci antiretrovirali. Il consumo associato di crack e marijuana rappresenta l’unica combinazione che aumenta significativamente il rischio di una rapida progressione dell’infezione. Tra i pazienti che seguivano una terapia, i consumatori di crack risultavano meno aderenti alle cure mediche, mentre tra coloro che non seguivano un trattamento, i consumatori di crack risultavano maggiormente esposti al rischio di progressione dell’infezione.

Approfondimenti cocaina.


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Comorbilità psichiatrica e tossicodipendenze

fonte: National Institute on Drug Abuse

12-01-2009
Quando due patologie colpiscono la stessa persona simultaneamente e interagiscono influenzando reciprocamente il decorso e la prognosi, tale condizione viene definita comorbilità.
“Numerosi studi clinici ed epidemiologici hanno documentato l’alta prevalenza di patologie psichiatriche nei tossicodipendenti, e per riuscire a spiegare questa comorbilità è necessario considerare anche la tossicodipendenza come una malattia mentale” afferma Nora Volkow, Direttore del National Institute on Drug Abuse, presentando il nuovo rapporto “Comorbidity: Addiction and Other Mental Illnesses”.
Il rapporto di ricerca descrive i fattori comuni che possono condurre a comorbilità psichiatrica, inclusa la vulnerabilità genetica e di genere, il coinvolgimento delle medesime aree cerebrali, l’influenza dei fattori ambientali, e esamina gli strumenti diagnostici e terapeutici disponibili. L’alta prevalenza di comorbilità tra uso di droghe e patologie psichiatriche non significa che l’una causi l’altra. Infatti, stabilire la causalità o la direzione risulta difficile per numerose ragioni: alcuni sintomi di patologia psichiatrica non possono essere riconosciuti fino a che la malattia non è progredita, inoltre spesso è difficile riuscire a collocare nel tempo con precisione l’inizio d’uso di sostanze.
Tuttavia i dati dimostrano che persone cui sono stati diagnosticati disturbi dell’umore e d’ansia, o disturbi antisociali di personalità hanno una probabilità doppia di avere problemi di tossicodipendenza. Analogamente, persone cui sono stati diagnosticati disturbi da uso di sostanze hanno una probabilità doppia di soffrire anche d’ansia o disturbi dell’umore.


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‘Spice’: non è una spezia e non è innocua

fonte: Deutsche welle

09-01-2009
Una nuova sostanza simile alla marijuana, denominata “spice”, è diventata oggetto di provvedimenti legislativi nell’ambito delle politiche antidroga in alcuni paesi dell’Unione Europea, dopo la conferma che la miscela di erbe da fumare ha effetti psicoattivi. La droga conosciuta anche con il nome "Spice Silver," "Spice Gold," "Spice Diamond," "Spice Arctic Synergy" and "Spice Yukatan Fire", ha iniziato a diffondersi in Europa nel corso del 2008.
Gli ingredienti di questa miscela sono di origine vegetale pertanto, fino a questo momento, in molti paesi europei la vendita della spice era consentita. Tuttavia, l’analisi della composizione chimica della spice ha rinvenuto la presenza di un composto sintetico utilizzato nella produzione, il JWH-018 quattro volte più potente del principio attivo THC contenuto nella cannabis.
I test hanno dimostrato che l’uso di tale sostanza può causare disturbi all’apparato cardiocircolatorio, al sistema nervoso e può portare alla dipendenza. Per tale ragione, i governi di numerosi paesi europei stanno considerando la possibilità di inserire la spice nell’elenco delle sostanze stupefacenti e psicotrope, mentre Germania e Austria ne hanno già vietata la produzione, la vendita e il consumo.

Approfondimenti smart drugs.


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